I Finalisti della XLIV edizione

La selezione dei 5 finalisti della Giuria dei Letterati 44° edizione del Campiello Letteratura

Pietrangelo Buttafuoco, Le uova del drago, Mondadori

Pietrangelo Buttafuoco
è nato a Catania nel 1963. Giornalista, ora a Panorama, prima al Foglio, ha pubblicato Fogli consanguinei (2003).


Incipit

Capitò di tutto in Sicilia. Capitò ogni cosa, nel periodo che corre dal 1943 al 1947. Ci capitò dentro una guerra, e ci capitò male. Fu perduta. Capitò infatti l’invasione, e capitò che l’isola venisse spaccata in due. Capitò la carnezzeria, con gli americani a far campo da un lato e gli inglesi dall’altro, a Catania. E coi tedeschi che se ne andarono, se ne partirono senza essersi ancora capacitati di come fosse possibile che a un certo punto, lasciando i rubinetti aperti, l’acqua smetteva di correre.
Ancora non c’erano frigoriferi, e per tenere al fresco le bottiglie i tedeschi le infilavano dentro i lavandini e ci lasciavano scorrere intorno l’acqua corrente. Non sapevano che una volta esaurite le vasche sui tetti non c’era più acqua da far scolare. Formati agli studi classici, si fissavano con gli acquedotti romani e la scienza idrica araba, e non sapevano che tutta la provvidenza della frescura era inscatolata nella provvisoria tecnica della raccolta piovana. Nelle cosiddette gebbie, nelle cisterne.

Capitò la strettezza e la sete, a quel tempo. I tedeschi superstiti, colorati di rosso più cha abbronzati dopo una lunga estate, s’intestavano a sparare fino a esaurire le munizioni. Quattro di loro, nei pressi di Regalbuto, in quattro che erano fecero un cimitero ordinato e rasato di quasi trecento anime, tutti liberators. Loro, i quattro biondi protagonisti di quell’esemplare episodio di eroismo efficiente, si lasciarono alle spalle un’ammirazione tutta taciuta ma ben custodita dentro i ricordi della popolazione civile. Una leggenda durata almeno fino agli anni ’60, questa dei quattro: ma adesso che sono solo dei sepolti, dimenticati a ridosso della statale 121, polverizzati dagli smottamenti dell’ANAS, adesso che fanno la guardia al vento, quei quattro non sono più niente.




Giancarlo Marinelli, Ti lascio il meglio di me, Bompiani

Giancarlo Marinelli
, nato a Vicenza il 24 dicembre 1973, è titolare della cattedra di Regia Teatrale presso la Link Academy - Accademia Europea d'Arte Drammatica di Roma; sceneggiatore e autore di drammaturgia contemporanea, regista cinematografico e teatrale, ha pubblicato Amori in Stazione (1995), Pigalle (1998) e Dopo l’amore (2002).


Incipit

Si bloccò in mezzo al Ponte Carlo, con le spalle rivolte alla città vecchia, graffiata appena dal russare squassato dei barboni naufraghi tra le onde rabberciate degli scatoloni. Non era una semplice stravaganza quella di uscire solo la notte, per restare rinchiuso tutto il giorno nella sua stanza d’albergo a disegnare; doveva progettare il restauro di un palazzo del settecento devastato da un incendio e da lì doveva partire: dalla notte carbone, dalla luce divorata dal fuoco, dal buio dalla cenere.

Non devo pensare al fuoco – si disse.
Non devo pensare al rogo che, anni cenere fa, ha giustiziato di carbone, ha solstiziato l’intero pianeta architettonico di questa città.Non devo pensare a un ragazzo bonzo, il cui nome, Jan Palaci, sembrava essere quello di un centravanti muscoloso dell’Est, capocannoniere ai mondiali, che aveva deciso invece di invadere di fiamme la sua carne contro l’invasione dell’armata rossa; non devo pensare a questo maledetto casinò che devo riprogettare dopo che ha preso fuoco probabilmente per mano della mafia locale. Non devo pensare più.




Salvatore Niffoi, La vedova scalza, Adelphi

Salvatore Niffoi
(noto come Karrone) è nato a Orani, nel cuore della Sardegna, il 19 febbraio del 1950. In questo paese, un angolo di paradiso annidato tra le rocce granitiche della Barbagia, vive e lavora. Il soprannome glielo hanno messo da piccolo per distinguerlo dagli altri Niffoi e perché nei paesi dell’interno della Sardegna chi non ha un nomignolo non esiste. Sposato e padre di quattro figli, insegna materie letterarie presso la scuola media del suo paese. Si è laureato in Lettere moderne a Roma discutendo una tesi sulla poesia dialettale sarda con il professor Carlo Salinari. Ha esordito nel 1999 con Il viaggio degli inganni e, prima di approdare all’Adelphi nel 2005 con La leggenda di Redenta Tiria, ha pubblicato altri tre romanzi con una casa editrice regionale. Oltre a quella per la famiglia, l’insegnamento e la scrittura, ha un’altra passione, la ceramica.


Incipit

Me lo portarono a casa un mattino di giugno, spoiolato e smembrato a colpi di scure come un maiale. Neanche una goccia di sangue gli era rimasta. Due lados che ad appezzarli non sarebbe bastato un gomitolo di spago nero, di quello catramoso che i calzolai usano per le tomaie dei cosinzos di vacchetta. Il cane girava intorno al nespolo e ringhiava impazzito dalla paura.

Lo stesi sul tavolo di granito del cortile, quello che usavamo per le feste grandi, e lo lavai col getto della pompa. Le pispiriste incollate, grumi scuri nel concale, terra e paglia nelle costole, nella vrissura, mosche verdi dappertutto. Pthù! Maledetti siano quelli che gli hanno squarciato il petto per strappargli il cuore con le mani e prenderlo a calci come una palla di stracci! Micheddu, amore meu, che eri buono quanto il Gesù Bambino che svetta sulla cupola della chiesa de Su Rosariu, questa balentia qualcuno la pagherà in sonanti, di leppa o pallettoni deve crepare chi ti ha sfregiato così. Su coro glielo sciacquai a parte, in acqua e aceto, poi lo avvolsi in carta oleata e glielo misi sotto il cuscino della bara.

Ohi amoreddu meu adorau, già te l’hanno fatta bella a conzarti in questo modo! Che se li porti via la Mama del Sonno quelli che ti volevano male! Lo so che manco le bestie si lavano così, ma io a Micheddu non volevo che altre mani lo toccassero: mio era stato da vivo, mio restava da morto. Prima una metà poi l’altra, a mani nude e a forza di braccia, lo infilai dentro il baule e lo ricoprii con uno dei camisoni di tela di mannai Gantina. Era rigido come un tronco di sughera. A mettergli il vestito di velluto nero, con su groppette e la camicia buona, non faceva. Quelli che lo videro dissero che il lombo destro non era il suo perché l’occhio gli era diventato rosso porporino e lo teneva socchiuso, come per atzinnire alla morte.




Nico Orengo, Di viole e liquirizia, Einaudi

Nico Orengo è nato a Torino, dove vive e lavora.
Da Einaudi ha pubblicato i romanzi Ribes (1988), Miramare (1989), Le rose di Evita (1990), Figura gigante (1992), La guerra del basilico (1994), L'autunno della signora Waal (1995), Dogana d'amore (1996), Il salto dell'acciuga (1997), L'ospite celeste (1999), Gli spiccioli di Montale (2001, già pubblicato da Theoria nel 1992), L'allodola e il cinghiale (2001), La curva del Latte (2002) e L' intagliatore dei noccioli di pesca (2004). Recenti sono: Di viole e liquirizia (2005) e Chi è di scena! (2006) (anche in versione inglese, Take the Stage!).
Tra le sue raccolte di poesia, Cartoline di mare vecchie e nuove (1984, poi 1999), Narcisi d'amore (1997) e Spiaggia, sdraio e solleone (2000).
Inoltre ha curato per «Einaudi Stile libero» il libro di Antonio Ricci Striscia la tivù (1998) e tradotto La morte malinconica del bambino ostrica e altre storie di Tim Burton (1998).


Incipit

- Qui c’è la valigia. Lui arriva dopo…
Luciano posò la valigia di cuoio rosso sul bancone e chiese a Silvio se gli apriva una birra.
- Lui, chi? – chiese Silvio, passando la mano sulla pelle consumata.
- Il forestiero, francese credo…
- Non ho nessuna prenotazione, - disse Silvio, spostando gli occhi sul registro.
- Gli ho consigliato io di venire da te.
Silvio uscì da dietro il bancone della reception e aprì la porta che dava nel locale bar.
Luciano lo seguì nella stanza in ombra. Andò a sedersi su uno sgabello, mentre Silvio apriva il frigo delle bibite.
- E adesso, dov’è?
Luciano alzò le spalle, aspettando che Silvio gli stappasse la Moretti.
Disse: - L’ho lasciato sulla strada di Pertinace. L’ho perso di vista mentre entrava in un campo.
- Chi è?- chiese Silvio, pulendo con uno straccio il bancone di mogano.
- Non so, l’ho preso alla stazione , mi ha pagato anche la corsa di ritorno, dopo essersi fatto spiegare dov’era il Savona e come arrivarci.
Luciano bevve un sorso, poi prese la bottiglietta e sia avviò verso l’uscita dell’albergo.
- Se non arriva, vieni a riprendere la valigia, - gli urlò dietro Silvio, scuotendo la testa.
- Primavera calda, - rispose Luciano, salendo in macchina.




Claudio Piersanti, Il ritorno a casa di Enrico Metz, Feltrinelli

Claudio Piersanti è nato in Abruzzo nel 1954. Laureatosi in Filosofia a Bologna, attualmente vive tra Roma e le Marche. A lungo giornalista scientifico (si è occupato prevalentemente di tematiche legate alla neurobiologia), è anche autore di sceneggiature cimematografiche (ha lavorato soprattutto con Carlo Mazzacurati) e di un libro a fumetti, Stigmate, scritto con Lorenzo Mattotti.
Ha pubblicato i romanzi Casa di nessuno (Feltrinelli 1981, Sestante 1993), Charles (Transeuropa 1986, Feltrinelli 2000), Gli sguardi cattivi della gente (Feltrinelli 1992), la raccolta di racconti L'amore degli adulti (Feltrinelli 1989, edizione ampliata in UE 1998), Luisa e il silenzio (Feltrinelli 1997, premi Viareggio Rèpaci per la narrativa, Vittorini-Siracusa, "diario della settimana") e L'appeso (Feltrinelli 2000).


Incipit

Enrico Metz e sua sorella non si erano mai amati e da quando lui era rientrato in città si erano visti non più di due o tre volte. Lei l’aveva accolto come un avventuriero tornato a casa con la coda tra le gambe, lui aveva ripreso a chiamarla “valchiria” e faceva di tutto per non incontrarla. Finiti i lavori di ristrutturazione della casa, la sorella gli aveva offerto la sua collaborazione domestica, l’efficiente e scontrosa signora Elide, proponendogli di condividerla anche per il futuro. Metz aveva accettato per non doverne cercare un’altra, ma era ben consapevole di essersi messo in casa una spia.
Adesso la signora Elide strofinava i pavimenti, maledicendo gli imbianchini. “Maiali!” diceva raddrizzando ogni tanto la schiena, “sono dei maiali, i suoi imbianchini!”. Era una tiepida giornata di un insolito dicembre mite e piovoso, le finestre erano tutte spalancate. L’aria profumava di terra e vernice. Era da poco passata l’una e lui stava mangiando un panino mentre la signora Elide finiva di togliere le macchie nell’ingresso, quando la sorella telefonò per avvisarlo che al telegiornale c’era un servizio sul crac della famiglia Marani. Il famoso finanziere veniva mostrato in alcune immagini di repertorio mentre si avvicinava a una berlina blu, visibilmente infastidito dalle telecamere che lo inseguivano. Accanto a lui, in abito scuro, appariva e spariva continuamente Enrico Metz, che si faceva largo senza troppi complimenti con la sua borsa di cuoio.





Premio Opera Prima

Marco Missiroli, Senza coda, Fanucci Editore

Marco Missiroli nasce il 2 febbraio 1981 a Rimini.
Rimane nella sua città fino alla maturità scientifica, poi si trasferisce a Bologna per l’università (Scienze della comunicazione) e successivamente a Milano dove lavora nel campo della pubblicità e della comunicazione.

Questa la motivazione della Giuria dei Letterati:
Il suo libro narra “di un’infanzia che si misura angosciosamente con il mondo adulto, con le sue sopraffazioni e violenze, varcando la linea d’ombra che conduce da una pensosa maturità con una narrazione che procede con notevole abilità per allusioni e spiragli in un serrato confronto tra i fatti e la loro elaborazione interiore”.