Gli autori della XLVII edizione

I 5 finalisti selezionati dalla Giuria dei Letterati XLVII edizione del Campiello Letteratura e il vincitore del riconoscimento Premio Campiello Opera Prima
I 5 FINALISTI DELLA XLVII EDIZIONE

Elena Loewenthal, “Conta le stelle se puoi”, Einaudi

Moise Levi ha solo ventitre anni la mattina di fine estate in cui lascia Fossano portandosi dietro un carretto di stracci. Vuole andare a Torino a far fortuna, e non può immaginare che quello sia solo l'inizio di una lunga storia. Perché Moise possiede un fiuto eccezionale per gli affari e per i sentimenti: darà il via a una florida ditta di commerci nel ramo tessile, e avrà due mogli, sei figli e un'infinità di nipoti sparpagliati ai quattro angoli del mondo. Dopo la grande guerra mondiale e quel «brutto spettacolo» della marcia su Roma, finalmente la vita di tutti ha ripreso il suo corso. Meno male che nel 1924 a quel «brutto muso di Mussolino» gli è preso un colpo secco, altrimenti la storia di nonno Moise e della sua discendenza sarebbe stata molto diversa. Invece la famiglia Levi - con i suoi amori e i suoi affanni, i suoi commerci e le sue tribolazioni, le grandi cene di Pasqua e i lunghi silenzi delle stanze chiuse - diventa sempre più numerosa nella casa di via Maria Vittoria, costruita proprio lì dove una volta c’era il ghetto e adesso non c’è più. Elena Loewenthal non ha riscritto la Storia all'incontrario: ha provato piuttosto a mettere la vita al centro, dove la morte ha cancellato tutto. Ha lasciato scorrere la quotidianità dell'esistenza, con la sua allegria e la sua insensatezza, per vedere come le gioie e le fatiche di ogni giorno possano fondersi “in una cosa sola che non è troppo distante dalla felicità”. La storia che si racconta è quella di una grande famiglia normale, resa impossibile dall'aberrante eccezionalità della Storia. Per questo la voce calda e intima dell'autrice, con una sincerità capace di rispettare tutte le ferite, prova a inventarsi un lieto fine, «come se non fosse successo quello che è successo».

Elena Loewenthal (Torino, 1960) è narratrice e studiosa di ebraistica. Ha tradotto e curato molti testi della tradizione ebraica e d'Israele. Tra i suoi saggi: Un'aringa in Paradiso. Enciclopedia della risata ebraica (Baldini e Castoldi 1997), L'ebraismo spiegato ai miei figli (Bompiani 2002) e Scrivere di sé (Einaudi 2007). Ha inoltre pubblicato i romanzi Lo strappo nell'anima (Frassinelli 2002), Attese (Bompiani 2004) e Dimenticami (Bompiani 2006). Insegna Cultura ebraica alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita e Salute San Raffaele di Milano e scrive sulla “Stampa”.





Margaret Mazzantini, “Venuto al mondo”, Mondadori

Una mattina Gemma lascia a terra la sua vita ordinaria e sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all’aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l’amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere. Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi, giovani sprovveduti, invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d’amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una Guerra che mentre uccide procrea. In questo grande affresco di tenebra e luce, in questo romanzo intimo e sociale, le voci di quei ragazzi si accordano e si frantumano nel continuo rimando tra il ventre di Gemma e il ventre della città dilaniata. Ma l’avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché Margaret Mazzantini ha scritto un coraggioso romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra. La pace è l’aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e oltraggiosa. L’assedio di Sarajevo diventa l’assedio di ogni personaggio di questa vicenda di non eroi scaraventati dal calcio della Storia in un destino che sembra in attesa di loro come un tiratore scelto. Il cammino intimo di un uomo e di una donna verso un figlio, il loro viaggio di iniziazione alla paternità e alla maternità diventa un travaglio epico, una favola dura come l’ingiustizia, luminosa come un miracolo. Dopo Non ti muovere, con una scrittura che è cifra inconfondibile di identità letteraria, Margaret Mazzantini ci regala in romanzo-mondo, opera trascinante e di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematica come una parabola. Una catarsi che dimostra come attraverso il male della Storia possa eromprere lo stupore smagato, sereno, di un nuovo principio. Una specie di avvento che ha il volto mobile, le membra lunghe e ancora sgraziate, l’ombrosità e gli slanci di un figlio di oggi chiamato Pietro.

Margaret Mazzantini è nata a Dublino, in Irlanda. Vive a Roma con la sua famiglia. Ha scritto Il catino di zinco, Manola, Zorro, Non ti muovere (premio Strega, premio Grinzane Cavour).










Pierluigi Panza, “La croce e la sfinge, vita scellerata di Giovan Battista Piranesi”, Bompiani

Giovan Battista Piranesi: incisore, scenografo, antiquario, ma prima di tutto, come venne definito dai suoi molti oppositori e rivali, "architetto scellerato". "La croce e la sfinge" racconta la vita di questo artista d'eccezione e dei suoi figli, la sua storia ribelle e avventurosa, che inizia a Venezia, per proseguire nella Roma delle rovine; la storia di un uomo le cui idee rivoluzionarie suscitano scandalo, così come il legame con la potente famiglia di Papa Rezzonico, che pensa di usarlo per i propri scopi politici. Ma questi sono solo alcuni dei tanti azzardi che caratterizzano l'esistenza di un irregolare dell'arte e del pensiero, che nel progetto di restauro della chiesa di San Giovanni in Laterano e nella costruzione della chiesa di Santa Maria del Priorato sull'Aventino si avvicina sempre più ai simboli dei crociati e alla mitologia dei templari, un amore tossico che aliena sempre più a Piranesi le simpatie dei vertici ecclesiastici. Pierluigi Panza profonde in questa grande avventura il rigore del saggista e dell'erudito, ma, prima ancora, la capacità del narratore di immergersi nella materia infuocata di un'esistenza fuori dalle regole e di elevarla a simbolo di un'intera epoca: il Settecento dei misteri, degli oscuri simboli esoterici e dei poteri occulti che scuotevano le certezze del secolo dei Lumi e minacciavano la Chiesa. II libro è arricchito da documenti inediti e riproduzioni delle incisioni di Giovanni Piranesi.

Pierluigi Panza è giornalista del “Corriere della Sera” e docente universitario. Si occupa di Beni culturali e ha pubblicato saggi di storia dell’arte e di estetica, in particolare sul Settecento italiano. Ha curato un’edizione critica degli scritti di Piranesi (SugarCo) e un volume su un suo manoscritto conservato a New York (Guerini). Ha scritto due romanzi: Italiani all’opera (Skirà, 2005) e Il digiuno dell’anima (Bompiani, 2007).







Francesco Recami, “Il superstizioso”, Sellerio

Il mondo del superstizioso e il mondo del geloso hanno una logica in comune: si stende su di essi come una rete di sospetto che connette punti distanti e sparse coincidenze in un unico piano, in un complotto, in un copione. La inerte realtà indifferente appare piena di intenzione. E rispetto alle vite quotidiane ha il vantaggio di mostrare un ordine, ostile forse, ma sensato. Camillo è un commerciante con un avviato negozio di scarpe, casa vacanze, una BMW in garage, una moglie, Teresa. Senza figli. Nel corso degli anni uguali ha sovrapposto alla sua giornata una serie infinita di riti propiziatori e di segni da decifrare che gli riempiono la vita. Un giorno, sotto il cavalcavia ferroviario che supera ogni mattina, si presenta l’evento che sta in vetta alla classifica del buon augurio, il passaggio simultaneo di tre treni nella stessa direzione. Preso dal fremito invincibile dell’attesa, Camillo, per favorire l’imponderabile, decide di cambiare la sua giornata e torna a casa. Qui uno stupido incidente gli fa perdere i sensi, ma subito prima di cadere gli sembra di avvertire un gemito di piacere proveniente dalla camera da letto. E il suo mondo cambia davvero. Fino a quel momento leggeva in ogni cosa i segni del destino; da adesso inizia a inseguire con la stessa continuità e precisione gli indizi del sospetto. Comincia così a spiare la moglie, a sorvegliarla patologicamente, a tenderle trappole, frugando nel passato di lei e rivoltando il suo presente. In modo freneticamente appassionato, fino a perdere di vista la meta ultima del vortice di paranoia che ha avviato. Alla fine, naturalmente, lo attende la beffa insensata della vita. Recami è maestro, nella sua scrittura tesa, di immersioni nelle esistenze paranoiche dei malati di normalità. Di esse è capace di descrivere, con un senso di immedesimazione, il crescendo di suspense suscitato dall’insignificante e l’effimero, la ripetizione dei gesti, di riprodurre le mode che le influenzano, il lessico, i tic e le fobie che le svelano. Ma con la lente imperturbabile dell’entomologo.

Francesco Recami (Firenze 1956) con questa casa editrice ha pubblicato L’errore di Platini (2006) e Il correttore di bozze (2007).











Andrea Vitali, “Almeno il cappello”, Garzanti

Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole. Almeno il cappello racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori. E la scrive con la passione per l’intrigo, il brio, il buon umore, la verità e la semplicità che servono per farci capire la ricchezza e gli imprevisti che punteggiano tutte le nostre vite.

Andrea Vitali è nato nel 1956 a Bellano, sulla riva orientale del lago di Como. Ha pubblicato Il meccanico Landru (1992), A partire dai nomi (1994), L’ombra di Marinetti (1995, premio Piero Chiara), L’aria del lago (2001) e, con Garzanti, Una finestra vista-lago (2003, premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio letterario Bruno Gioffrè 2004), Un amore di zitella (2004), La signorina Tecla Manzi (2004, premio Dessi’), La figlia del podestà (2005, premio Bancarella 2006), Il procuratore (2006, premio Montblanc per il romanzo giovane 1990), Olive comprese (2006), Il segreto di Ortelia (2007), La modista (2008, premio Ernest Hemingway) e Dopo lunga e penosa malattia (2008). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia. Il suo sito è: www.andreavitali.net



PREMIO CAMPIELLO OPERA PRIMA

L'ultima estate di Cesarina Vighy , Fazi

Da dove arriva la voce di Zeta? Apparentemente dal luogo più inabitabile e muto: la malattia, in quel punto estremo che toglie possibilità, respiro, futuro. Ma è solo apparenza: questa voce proviene dal nucleo più irriducibile e infuocato della vita. Che non tace, non cessa di guardare e amare. E anzi, comincia qualcosa: a scrivere. È fragile l'equilibrio che genera queste pagine. Per Zeta qualsiasi gesto ora è enorme, la fatica non solo fisica è in ogni momento fatale. E i ricordi sono uno squarcio lacerante nella memoria di una vita tenacemente irregolare: la nascita fuori dal matrimonio della "bambina più amata del mondo", l'infanzia sotto le bombe, Venezia splendida e meschina, il primo disastro sentimentale e poi, ancora, Roma becera e vitale, l'esperienza della psicanalisi, l'avventura del femminismo, il cammino della malattia. E sempre la coriacea e gentile difesa della propria individualità, l'irrisione delle tribù e delle cliniche cui ha rifiutato di appartenere. Così la storia dei suoi settant’anni scorre laterale, vissuta intensamente ma mai accettata, come non fosse mai meritevole di piena identificazione. E la famiglia ridotta all’essenziale – il grande padre, la piccola madre, il marito e la figlia – mai un rifugio riconciliante. C’era lo spettacolo del mondo da scoprire, una sfuggente libertà da inseguire, una singolare autenticità da trovare. Con una lingua nitida, a tratti feroce, mai retorica, attraversata da una vena di sarcasmo che non concede nulla alla pietas, l’autrice affronta il più evitato degli argomenti: la sofferenza. Mai, lungo queste pagine, si può dimenticare che è malata, gravemente. Però basta uno spiraglio della finestra in cucina a far entrare un platano o un merlo. C’è una gatta fedele, indulgente, comprensiva. C’è una esistenza verso cui – Zeta non lo direbbe mai e certamente si rifiuta perfino di pensarlo – si può nutrire un orgoglio felice. Segnata com’era, ora finalmente appare bella. E piena di sogni, ricordi, fantasmi, di intelligenza. Non degenera: può sfidare il peso dei rimorsi del passato e l’orrore dei sintomi di oggi, ironicamente e fieramente: “Dicono che si nasca incendiari e si muoia pompieri. A me è successo il contrario: brucerei tutto, adesso”. Lo fa in questo libro singolare: piccolo auto da fé e magnifico inno alla vita che era ed è.

Cesarina Vighy. Veneziana, vive a Roma da molti anni. Dedicata alla scrittura da sempre, si sarebbe accontentata di diventare un dickinsoniano “poeta postumo” fino a quando, colpita da una rara malattia neurologica, non si è decisa ad affrontare il giudizio altrui, libera ormai dall’ossessione del successo. Questo è il suo primo romanzo.